Italo Bonassi
1° classificato
Rovereto (Trento)
Le scarpe vuote
Tutta una lunga fila di scarpe
dietro di me, ormai alle mie spalle,
scarpe vuote che han calzato i morti,
tante, che bastano e avanzano ai vivi,
tante le scarpe, l’una dietro l’altra,
tanti i piedi che vi hanno camminato,
tanta la strada fatta con le scarpe,
tante le orme fatte e cancellate.
E, con le scarpe, restano nell’aria
lungo le strade voci a mezza gola
di tutti quelli che ci hanno camminato,
che il vento ci riporta a mulinello,
echi e voci di chi non ha più scarpe.
Ed io cammino, io che ci ho le scarpe,
faccio la strada vivo insieme ai vivi,
e ho nella gola un canto da cantare
e nelle scarpe passi ancor da fare,
canto di chi cammina e ci ha le scarpe.
Mario De Fanis
2° classificato
Falconara Marittima (AN)
E’ proprio vero, pà?
E’ proprio vero, pà? Mà dice che d’estate
sotto al balcone le portavi serenate;
che a sentire quel mandolino, su nel cielo,
tutte le stelle sfriccicavano incantate!
Diana racconta che da bambina piangeva, le sere
che tu, uscendo, non le tiravi le treccette nere.
Nice sorride ancora del cappello che il vento
ti fece volar via, mentre scendevi da quel treno.
Ugo, invece, risente ancora negli orecchi
come straziava l’alba l’ostinato tuo silenzio,
Il giorno che a sedici anni t’annunciò
che partiva per andare in guerra.
La collana dei nostri giorni s’è spezzata
il giorno triste che si fece notte nel rifugio:
per me viaggia così lontana, la nave dei ricordi,
che la dimenticanza s’è fatta la mia croce.
Neppure il suono ricordo più della tua voce:
me la figuro a volte come il mormorare,
scorrendo sopra i sassi, che fa il mare;
a volte su toni acuta, come l’abbaiare
festoso di un cucciolo affamato;
altre, cupa come il fischio di un vapore.
E provo, e provo senza riuscire, ancora…
Stringo i pugni, le labbra mordo, allora….
Poi, sento la pena che in rimorso si tramuta,
perché tutto l’amore che m’hai dato
serbare non ho saputo, e l’ho perduto.
Come gabbiano stanco nella nebbia,
senza di te, la vita ho attraversato:
io che la mia guancia avrei accarezzato
se tu, in un momento di collera passeggera,
con uno schiaffo me l’avessi arrossata.
Io, che dietro la porta il tuo ritorno avrei spiato.
Oramai, solo una foto mi restituisce il tuo viso
e neppure una io ne riesco a ricordare,
di tutte le volte che in fondo al cuore m’hai sorriso.
Daniela Raimondi
3° classificato
Londra
Terra promessa
i. Preghiera dell’addio
Ce ne andremo un mattino d’inverno
nei piedi il peso della seta
e fra le mani una valigia vuota.
Cammineremo spinti dal vento,
lasciandoci dietro un colpo di tosse,
tre ciglia sparse sul cuscino.
Partiremo soli, come quando si nasce:
l’ultimo sguardo in fondo al giardino,
un ritratto premuto contro il petto.
Ma ugualmente andremo
dicendo
salvaci, Padre,
dalla dimenticanza della felicità
e dalla solitudine che scava gli occhi delle donne.
Salvaci dai sogni lasciati a seccare,
dal tuo pane malato.
Portaci verso cieli più miti,
il corpo a brillare fra i papaveri
e con il bene dentro.
Giorgio Baro
Torino
Segnalato
Generazioni
Maurizio sale all’ospizio ogni sera;
in autunno la strada della collina
oltre i radi lampioni sconfina
su tappeti di foglie lucide e muschio,
ma lui, equilibrio appeso alla notte,
cammina senza affacciarsi alle luci
che folli esplodono dalla città.
Maurizio infila tutti d’un fiato
gli scalini bassi, i suoi passi
storti e pesanti con forza dirigono
la carrozzella dove siede la madre;
nell’andare verso la mensa
imposta una curva, la stessa
da affrontare piano al contrario
con quell’equilibrio che sbanda
quando ritorna alla stanza.
Maurizio rimbocca il lenzuolo
sulla coperta –un gesto leggero –
poi piega lo scialle sopra la sedia
e saluta accostando la porta
ed esce senza sbandare alla curva.
Maurizio scende, giubbotto e capelli
bagnati di nebbia, davanti le luci
della città ad aprire un ombrello
-il cielo impastato promette bello.
Freddo alla fermata dell’autobus
un tremito gli corre la schiena,
a casa la cena di caffelatte
e di tosse, il copriletto piegato
in fondo ai piedi come sempre
faceva sua madre; la finestra
socchiusa per spiare in giardino,
sul cuscino la sveglia puntata
da staccare che domani è domenica.
Carla Baroni
Ferrara
Segnalato
Alzate l’architrave carpentieri
Alzate l’architrave carpentieri
perché rubi dal cielo le comete
per farmene una veste scintillante
o una stola di polvere d’argento
io donna ambigua dal sorriso incerto
che nasconde nell’intimo i pensieri.
Gioco coi verbi, dico e poi disdico
m’arresto per fuggir subito dopo
instabile nel riso e nel lamento.
Alzate l’architrave carpentieri,
lucciola sono di distanze estreme
falena che si nutre all’altrui lume
girando intorno, orbita fallace
d’un desiderio solo.
E non avrò che un cero
dallo stoppino fragile, uno spago
una corda restia a srotolarsi
per farmi donna libera di dire
gli ampi spazi che l’anima promana
mondi diversi, inusitati suoni…
Alzate l’architrave carpentieri
io non sto dentro ad una sola stanza.
Tiziana Monari
Prato (Firenze)
Segnalato
La notte del mezzo sogno
Lo lasciarono solo quelli che scrivevano per lui
con l’anima come se fosse inchiostro
in un chiarore di luna offuscato, nella porpora lieve del crepuscolo
rimase ombra come sempre in una notte di fine carnevale
il Tago a lato a scorrere lento
le luci senz’allegria di Lisbona alle spalle
cupo stratega con una sola carta da gioco in mano
sopravvissuta a un mazzo perduto
si fermò in un interludio d’argento
nella grazia morta delle panchine di pietra
nella malizia incerta della penombra
sognando Hanteros, il letto di Proserpina, le sue trecce morbide
si rammaricò delle cose che non erano mai state
la nostalgia scritta nel libro dei viandanti,
un cupo dolore riemerso nella memoria
e solo la voglia di un trenino di latta
una maschera di carta da mettere sul volto di Dio
un tedio di fine estate come uno scarabocchio sul cuore
ora che la notte del mezzo sogno era finita.
Filippo Pirro
S. Marco in Lamis (FG)
Segnalato
Internauta Senex
Da qualche tempo non si siede al bar,
da quando ha il mondo dentro il suo piccì.
Per ore, ipnotizzato al monitor,
scarica, condivide, va su ebay
e clicca, blogga, linka, posta e zippa
e naviga senza saper nuotare
tra chiocciole puntate e vu vu vu,
poi ciatta, manda imèil e geipeg
di cinque megabait a feisbuk.
Sta attento l’internauta alla sua pràivasi
e punto, punto, punto, punto, punto,
si tiene stretta stretta la sua pàssuord.
Ma, povero pinocchio, nella net
si fa pescare da sirene spot,
che pulsano chiedendogli la card.
Cerca un approdo, allora, mentre un’escort
gli fa l’occhietto hard, promette un flirt
se si registra e se diventa fan.
Ma un crampo al carpo anchilosato al màus
e gli occhi fibrillanti in mille pixel
tra banner bombardanti sex on làin
ricordano all’incauto Robinson
di essere un senex…che tra un po’ dal PON
la moglie tornerà e che il ragù
sta fumigando, e corre e spegne il gas
e ansante clicca start, poi lancia un Url,
che un trojan horse gli arriva da una spam!
Maledicendo Ulisse lascia il ueb.
Francesco Tomada
Gorizia
Segnalato
Il nono anniversario
(a mia sorella)
Le donne morte di parto diventano spiriti
Letovane, si chiamano così
di notte le puoi sentire lungo il fiume Stella
lavano i vestiti della famiglia che era loro
insomma aiutano per quanto
possono aiutare
perché mi viene in mente questa storia
della Bassa adesso
Stefania ci sono giorni in cui riesco quasi a non pensarti
non oggi
non oggi che nostra madre
ha chiesto di celebrare una messa per te
sicuramente ti ha anche portato dei fiori
non oggi che guardo il disordine in casa
il mucchio di biancheria sporca che trabocca dalla cesta
e comincio a lavare